ATTENZIONE: SPOILER!
"The Elephant Man" è un film molto delicato, un pezzo di cinema quasi perfetto (forse qualche personaggio è dipinto in modo troppo manicheo e c'è qualche concessione al sentimentalismo, ma parliamo di piccole sbavature) che ci spinge alla riflessione.
Qui ci occupiamo solo del finale, secondo noi molto riuscito (se non avete visto il film, passate oltre e non leggete: è fondamentale averlo visto per valutare la recensione).
Mai.
Oh, mai.
Niente morirà mai.
L' acqua scorre.
Il vento soffia.
La nuvola fugge.
Il cuore batte...
Niente muore.
Questa è la poesia di Tennyson con cui la madre di Joseph Merrick accoglie suo figlio, The Elephant Man, negli spazi profondi, misteriori e affascinanti dell'universo. Joseph ha avuto una vita difficile: è un'anima gentile, sensibile, candida. Una persona buona, ma dall'aspetto mostruoso. Un viso deforme, un corpo straziato, un'estetica inaccettabile per tutti gli altri. Viene trattato come un mostro, esibito come un fenomeno da baraccone, umiliato, preso in giro, additato come bestia. Le persone hanno ribrezzo e a volte paura perchè a un aspetto mostruoso deve corrispondere un animo mostruoso. Solo il dottor Treves riesce ad andare oltre e a vedere in lui un uomo, solo lui e anche lui comunque commette errori, anche lui lo vede prima come un caso medico e solo dopo come un uomo, tanto che sua madre lo riprende per non aver capito che lo sta trattando anche lui come un fenomeno da baraccone.
Per tutto il film, Joseph ha un unico, vero, grande desiderio: essere accettatto, essere uno come gli altri, essere amato. Ha con sè il suo bene più prezioso, una foto della madre, simbolo dell'amore materno, l'unico amore che abbia mai provato. Sono sentimenti sinceri, che proviamo tutti, ma il suo aspetto gli nega la possibilità di ricevere amore. Eppure è una persona sensibile, buona, nonostante tutto quanto gli è accaduto, con un animo artistico. Per tutto il film ha costruito un modellino di una cattedrale di cui dalla finestra riesce a vedere solo la punta. Il resto lo deve immaginare. E' una parafrasi della sua vita: la sua condizione non gli permette una vita normale, può solo immaginare cosa vuole dire la vita normale di un uomo. Proprio l'immaginazione è il suo rifugio: nessuno può ferirlo laggiù.
ULTIMA SCENA Dopo molte sofferenze e traversie, Merrick ha passato una serata a teatro, trattato con gentilezza dagli altri e in particolar modo dal dottor Treves, che pur fra errori e rimorsi ha fatto molto per lui. Merrick lo definisce "amico".
Ora è nella sua stanza, solo. Deve dormire con dei cuscini che lo fanno stare in una posizione innaturale, altrimenti morirebbe nel sonno.
Joseph però prende una decisione: toglie i cuscini e si sdraia come si sdraierebbe una persona normale. Sa che questo lo ucciderà in pochi minuti, togliendogli letteralmente il respiro. Eppure lo fa, decide scientemente di morire. E' una scelta ragionata: per la prima volta in vita sua ha potuto godere di un attimo di pace, per la prima volta in vita sua si è sentito trattato con gentilezza, per la prima volta in vita sua è stato una persona come gli altri.
Decide di porre fine a una vita sofferta, perchè può andarsene in modo dignitoso, dopo una serata da uomo come gli altri, dormendo da uomo come gli altri. Il suo percorso è stato lungo ma è riuscito a costruire un momento, fugace, di serenità. La ripresa indugia sul modellino: grazie all'immaginazione è riuscito a finire la cattedrale, ed è bellissima, una meraviglia. E' perfetta in ogni dettaglio, affascina come solo la creazione di una mente delicata può fare. La cattedrale simboleggia quel momento di bellezza, di pace, di serenità, raggiunto con fatica. E' un momento di armonia.
La scena finale in cui Joseph vede un universo di stelle e il volto di suo madre che recita la poesia di Tennyson può essere letto in molti modi ma rappresenta tutto ciò che di positivo c'è stato nella sua vita: la bellezza della natura, l'amore di sua madre, la bellezza dell'arte e quindi della poesia. Ha sofferto tantissimo ma muore in pace, da uomo.
Questo momento consolatorio, però, non può cancellare una vita di sofferenza. Non cancella i limiti dei pregiudizi degli uomini, non cancella gli atteggiamenti denigratori, le cattiverie. Soprattutto lascia tante domande.
E' facile dire che bisogna saper andare oltre l'aspetto estetico, che un uomo non si valuta da come appare, che la bellezza di un'anima vale mille volte di più della bellezza di un corpo.
Il dottor Treves però, durante il film, si domanda "Am i good or bad?". Il punto è proprio questo. Tutti possiamo commuoverci davanti a un film che "difende" un personaggio come Joseph Merrick, che in qualche modo gli concede un finale di riscatto. Nella realtà di tutti i giorni, però, come ci comporteremmo? Di fronte a qualcosa di mostruoso, che offende la nostra vista, ma superficiale, come un corpo deforme, siamo capaci di andare oltre? Ci piace pensarlo, a tutti noi, ma ci riusciamo davvero? Ecco la domanda del dottor Treves resta irrisolta e viene riproposta a tutti noi. Sapreste amare, davvero, The Elephant Man?